Più nulla da perdere - Najwan Darwish

 Najwan Darwish



 

Il poeta di Gerusalemme Najwan Darwish (1978) è considerato una delle voci più autorevoli della poesia araba contemporanea. Redattore della pagina culturale del giornale «Al-Araby Al-Jadeed», ha all’attivo otto raccolte poetiche ed è stato tradotto in circa venti lingue. Una delle sue ultime opere Taʿiba al-muʿallaqūn (Spossati sulla croce), è stata di recente tradotta in inglese da Kareem J. Abu Zeid con il titolo Exhausted on the cross e postfazione firmata dal grande poeta cileno Raul Zurita.

L’opera da cui sono tratti i testi qui presentati, Più nulla da perdere, è stata di recente pubblicata da Il Ponte del Sale, Rovigo, con prefazione di Franca Mancinelli e traduzione e postfazione di Simone Sibilio. La sua versione inglese Nothing More to Lose, pubblicata negli Stati Uniti nel 2014 da New York Review Books e tradotta sempre da Abu Zeid, ha ricevuto ampi consensi a livello internazionale ed è stata candidata in numerosi premi. E' stata successivamente pubblicata in arabo in una nuova veste e con una diversa selezione poetica, riproposta anche nell’edizione italiana, con il titolo Istayqaẓnā marratan fī-l ǧanna (Un giorno ci svegliammo in Paradiso), con Dār al-Fīl (Gerusalemme, 2020).

Si tratta di un’opera che mostra un ampio ventaglio di forme e registri, caratterizzandosi per la coerenza tematica, in cui assumono centralità i dilemmi e le preoccupazioni del suo tempo e della sua terra, la Palestina, e per un afflato lirico che lascia sovente campo ad una voce graffiante e sarcastica, così come ad uno sguardo di lucida disillusione davanti alla cecità della società globale, alla sua indifferenza alle ingiustizie, storiche e presenti, patite da comunità e popoli silenziati e oppressi. Sul piano estetico e dei temi trattati Darwish può essere considerato un esponente di spicco di una nuova forma di poesia di resistenza, ricollegandosi all’esperienza lirica dei suoi predecessori, tra cui gli illustri Mahmud Darwish e Samih al-Qasim, ma aggiungendo elementi inediti e di indubbia originalità. Tiene senz’altro conto di quel recente passato poetico impresso nella coscienza collettiva di ogni arabo, ma sembra quasi volerlo riafferrare per sfidarlo, qui addomesticandolo, lì sovvertendone i tratti distintivi, comunque sottoponendolo ad un’operazione costante di rimodellamento. La sua poesia offre così prova esemplare di rottura e continuità al tempo stesso: rottura nella dizione e negli schemi di riferimento formali, esibita con l’elaborazione di un peculiare linguaggio, intriso di modulazioni e suoni della vita quotidiana e sovente scolpito su condensazioni narrative sorrette da una visionarietà postmoderna; continuità nel richiamo a topoi e modelli recepiti e cristallizzati nella cultura poetica araba – inclusi quelli classici e preislamici –, nella preoccupazione umana per la vicenda del suo popolo e, in senso più ampio, per il futuro della civiltà araba in un tempo di profonde trasformazioni sociali e nuove sfide globali.

L’originalità poetica di Darwish risiede, a mio avviso, in un intricato ed intrigante equilibrio tra la modernità di una voce singolare, capace di modellare la materia poetica con freschezza e dinamicità, con penetrante acume ed un’espressività subito riconoscibili, e la sopravvivenza delle tracce di una poetica tradizionale ravvisabile in quel malinconico ancoraggio a valori e certezze del passato, nel riconoscimento della Storia a fondamento della costruzione poetica, nell’aderenza a motivi identitari opacizzati in un tempo arabo che ha smarrito i precedenti riferimenti. Pur senza rinunciare a stilemi o motivi più tradizionali, come al-ḥanīn per il passato arabo glorioso, il topos andaluso, la ripresa di vicende storiche o di personaggi esemplari dell’identità palestinese e araba, ricorre apertamente alle strategie dell’ironia o persino del vituperio politico, con uno stile talvolta contemplativo o distaccato, altre volte più scarno o forgiato dalla cronaca giornalistica, per porre in risalto i paradossi della realtà palestinese, la retorica del processo di pace e la parzialità del racconto sul ‘conflitto’ tra le due parti nel discorso pubblico dominante.

Alcuni di questi aspetti sono rintracciabili nei quattro testi qui presentati in doppia lingua:

 

Dormire a Gaza

 

Dormirò come dormono tutti, o fado, mentre gli aerei bombardano

e l’aria si apre

come carne viva

sognerò il tradimento allora,

come sogna chi dorme mentre gli aerei bombardano

 

mi sveglierò a mezzogiorno per chiedere alla radio – come chiedono tutti:

Hanno smesso di bombardare? A quanto è salito il numero dei morti?

 

Ma la tragedia, o fado,

è che esistono due categorie di persone:

quelle che gettano per strada peccati e tormenti per poter dormire

e quelle che raccolgono i peccati e i tormenti degli altri, foggiandone croci con cui marciare per le strade di Babilonia, Gaza e Beirut

e poi gridare:

Per quanto ancora?

Per quanto ancora?

 

Due anni fa mi trovavo a Dahie, a sud di Beirut, trascinando una croce grande quanto quegli edifici, ma chi porterà oggi su spalle stremate una croce a Gerusalemme?

 

Tre chiodi sono la Terra

e la pietà è un martello

colpisci, Signore

colpisci con i tuoi aerei

 

per quanto ancora?

 

Dicembre 2008

 

نوم في غزّة

 

سأَنام يا فادوس مثلما ينام الناس والطائراتُ تَضْرِبُ

والهواءُ يتمزَّق

كاللَّحم الحيّ

سأَحلم إذن بالخيانات

مثلما يحلم الذين ينامون والطائرات تَضْرِبُ

 

سأَستيقظ في الظهيرة لأَسأَل الراديو- مثلما يسأَلُ الناس:

هل توقّف القصفُ؟ وكم صار عدد الذين قُتلوا؟

 

لكنّ مأَساتي يا فادوس

أَنّ الناس نوعان:

الذين يُلقون عذاباتهم وخطاياهم على قوارع الطُرق ليناموا

والذين يجمعون عذابات الناس وخطاياهم على هيئة صلبان ويسيرون بها في شوارع بابل وغزّة وبيروت

وهم يصيحون: هل مِنْ مزيد

               هل مِنْ مزيد

 

قبل سنتين كنتُ في شوارع "الضاحية الجنوبيّة" أَجرُّ صليباً بحجم العمارات

لكن، من يحمل اليوم صليباً عن ظهر مُتْعَبٍ في أورشليم؟

 

الأَرض ثلاثة مسامير

والرحمة مِطْرَقة

اضرب يا ربّ

اضرب مع الطائرات

 

هل مِنْ مزيد؟

كانون الأوّل 2009

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La Sulamita

Avrei desiderato giacere in attesa della Sulamita tra i gigli della valle e i narcisi in collina e gli altri fiori di cui non so i nomi

indifferente al rimprovero dei miei fratelli o al biasimo delle figlie di Sion.

 

Ma gli aerei sono usciti dal Libro Sacro

per straziare una famiglia in riva al mare.

 

Dove giacerai a mezzogiorno?

In che colonia dormi, tu che hai ucciso la Sulamita?

 

شولوميت

  

كان بودّي أَن أَرْبِضَ لشولوميت بسَوسَن الأَودية ونرجس التلال وما لا أَعرفُ من أَسماء الزهور 

غير مكترثٍ بعِتاب بَني أُمّي أَو بِلَوم بنات صهيون.

 

لكنَّ الطائرات خرجتْ مِنَ الكتاب المقدّس لتمزّق عائلةً على شاطئ البحر...

 

 أَين تربِضُ عند الظَّهيرة

 في أَيِّ مستوطنةٍ تنامُ يا قاتلَ شولوميت؟

 

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Al Festival Ernesto Cardenal

 

Farò la stessa fine di Ernesto Cardenal?

Ascolterò la voce del vissuto di mezzo secolo passato

seduto come lui in notti di festival omaggiato da poeti

con i miei capelli bianchi sotto un basco nero e la schiena ricurva

guarderò alla mia vita

mentre le dita della morte afferrano le sue redini?

E le parole che ascolto ora

verranno pronunciate anche

al mio funerale?

Signore,

porto il peso dei soprusi patiti da popoli sotto accusa

sono quei popoli ad avermi piegato la schiena.

Le dita della morte cercano le redini, ma non le trovano.

Non credo verrà la mia fine.


في مهرجان إرنستو كاردينال

 

هل سأَنتهي مثل إرنستو كاردينال

وأَسمع نصفَ قرنٍ من الماضي تَشْهد لي

أَجلس مثله في ليالي المهرجان والشعراء يُحَيّونني

بشَعري الأَبيض تحت "البيريه" السوداء وظهري المُنحني...

هل سأَنظر إلى حياتي

وأَصابع الموت تتلمّس زِمامَها

والكلام الذي يقال الآن أَمامي هو ذاته الذي سيقال

في حفل تأبيني؟

 

أَيها الرَّب

شعوبٌ من العتب أَودعتني مَظْلمتها

شعوبٌ من العتب هي ما أَحنى ظهري.

 

أَصابعُ الموت تتلمّس ولا تعثر على زِمام 

الأَرجح أَنني لن أَنتهي. 

 

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Un giorno mi alzerò

 

Un giorno mi alzerò e lo dirò

io, il curdo, un giorno mi alzerò

e lo dirò, io l’amazigh, sono la tua voce

un giorno mi alzerò, io l’arabo che tu conosci

un giorno mi alzerò e lo dirò:

Ecco, Saladino, se ne sono andati! [1]

 

سأَقف يوماً

 

سأَقف يوماً وأَقولها

أَنا الكرديُّ سأَقف يوماً

وأَقولها أَنا الأَمازيغيُّ صوتك

سأَقف يوماً أَنا العربيُّ الذي تعرفه

سأَقف يوماً وأَقولها:

ها قد انصرفوا يا صلاح الدين[2]



Traduzione a cura di Simone Sibilio  



[1] Il poeta riprende e riformula la frase “Eccoci, Saladino, siamo tornati!” attribuita al generale francese Henri Gouraud sul mausoleo di Saladino, in seguito all’occupazione francese della Siria nel 1920 e in riferimento all’invasione dei Crociati. 

[2]"ها قد عدنا يا صلاح الدين" عبارة يقال إنّ الجنرال الفرنسيّ غورو قالها لضريح صلاح الدين الأيّوبيّ بعد احتلال دمشق عام 1920.

  

 



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