Poiché sangue, respiro e ricordi - Amjad Nasser

Amjad Nasser


Amjad Nasser, è lo pseudonimo di Yahya al Numeiri alNaimat, era uno scrittore, giornalista e poeta giordano. Nato nel 1955, a nord della Giordania, figlio di una famiglia beduina, si è appassionato alla politica e alla scrittura da quando era nelle medie. Nel 1977 si è trasferito a Beirut, a causa delle sue attività politiche, e si è aggregato alla resistenza palestinese, che gli ha attirato l'attenzione sin da piccolo. Ha abbandonato l'università per dedicarsi al giornalismo di lotta, nella rivista "al Hadaf" fondata dallo scrittore Ghassan Kanafani. Si è trasferito a Londra nel 1987, e vi è rimasto fino alla sua morte, avvenuta nel 2019, dopo una feroce lotta con il cancro.

Amjad Nasser era uno dei pionieri della poesia araba moderna e della poesia in prosa arabaHa pubblicato una ventina di raccolte di poesie. E' stato il capo-redattore di uno dei più importanti quotidiani in lingua araba, editi a Londra, "Al Quds". Nel 2000 ha preso parte alla manifestazione "Parole di mare. Incontri internazionali di poesia" (Amalfi).




II

Non so come sono arrivato e non so quando,

laddove non giunge sostenitore né testimone.

erano apparsi carri, trascinati da creature

metà umani e metà zebre.

Tra i già morti mi hanno gettato.

Soffocavo, ma non proprio morto,

quasi esanime.

Ignaro di cosa mi fosse capitato.

Vi era un'aria aspra

amara, dura e pesante.

L'ho inalata,

non ve n’era altra.

Forse son divenuto pallido,

mi tremavano mani e piedi,

e schiuma sbavava la bocca.

Ho visto altri in quello stato,

ma erano irrigiditi,

un solo pezzo.

Non sono, forse, così i morti?

Poiché sangue, respiro e ricordi

rendono morbido e flessibile il corpo.

 

A causa della nostra immensa quantità,

(poiché popolammo la terra che verde era di non so cosa

la rendemmo verde di vomito e ruggine di rame),

si son messi ad accatastarci, in fretta, sui carri

che son rimasti a lavorare senza sosta.

E così sono arrivato qui, per errore.

Forse.

Non ne sono certo.

Ero tanto esausto, da non poter difendere il mio esile respiro,

il mio battito fioco,

la mia capacità

di percepire verdi le cose.

 Nella mia memoria ritornavano

tutte le cose che amavo,

l'acqua soprattutto.

Avevo sete,

ho visto tanta acqua.

Ho visto sorgenti,

cascate,

fiumi in piena,

oasi nel deserto.

Acqua che sgorgava dal versante della montagna.

Mi son svegliato quando si erano messi a classificarci.

Mi hanno visto muovere la mano.

Non ero avvolto nel sudario. Avevo vestiti da lavoro, e in tasche matite, cacciaviti, chiavi. Ero fabbro, falegname, meccanico oppure poeta? Non vi erano tracce di coltellate o di proiettili sul mio corpo. Erano sconcertati su dove collocarmi! Le carovane di morti arrivavano, vi erano i giacigli a cui erano destinati, con numeri al collo. Io, però, non ero morto. I vivi non salivano a quelle alture. I loro corpi sono più pesanti da trasportare persino da parte di creature, metà umani e metà zebre. I vivi non ascendevano ai Regni del Signore. Non ricordavano che un essere vivente fosse giunto fin qui, e non sapevano come riportare indietro un vivo; chi arrivava lì non tornava indietro. Hanno chiesto chi fossi? Ho dimenticato chi ero esattamente, ho detto loro: un messaggero! Sono trasaliti. Non ne avevo l'aspetto, e non si gettavano così a caso i messaggeri, nei carri della morte. Si sono alterati i loro lineamenti, ho detto: no, non sono un messaggero divino. Non ne sono capace, ma, eccomi qui, e nessun ha fatto tanto prima di me. Forse due poeti soltanto, uno si chiamava Al Ma'arry, e l'altro di nome fa Dante. Io sono il messaggero di coloro che sono rimasti nel paese dei barili esplosivi e del Sarin, nel Regno di Adamo, dalle cui terre vedete innalzarsi le fiamme, stando su queste vostre alture. E vedete il fumo avvolgerla, e gli odori ostruire le narici (non li sentite?). Se qui sono arrivato per errore, e sembra non sia mai successo prima, allora sussistono due probabilità: che l'errore non sia soltanto un fatto umano, o che ci sia qualche segno.

Ditegli che voglio incontrarlo.

Vorrei dirgli che sono venuto dal Regno del suo creato, Adamo, laddove le decisioni sono nelle mani di zombi,

di vampiri,

di cannibali,

di coloro che guastano l'onore,

e violentano i ragazzini.

Gli uomini dell'impalamento e delle sedie elettriche,

che hanno mutato le scimmie in uomini, e viceversa,

che offendono i padri e le madri,

che tagliano le teste come esercizio di anatomia,

che accumulano barili carichi di TNT, chiodi e lame …

E altri e altri ancora.

Non sono certo che Lui sappia quanto avviene, o forse si è scordato di noi, d'altronde chi siamo noi in questo suo infinito universo? Vi è qualche errore. Non nel mio giungere fin qui, ma nell'abbandonarci in una tale oscurità, dove non si scorge neanche un lume che indica qualche Potere, o Senso qualsiasi.

Come Mosè, anch'io non mi muovo da questo luogo che ignoro dove sia, prima di vederlo protendere le due dita, e posare la punta del pollice sul polpastrello del mignolo, affinché sette montagne prorompano insieme. Perché sono pur suo figlio, come coloro che, non fosse stato per il deserto e l'incertezza, non sarebbero diventati messaggeri.



Testo tratto dalla raccolta "Il regno di Adamo" (2019).

Traduzione di Gassid Mohammed

 

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