Mohammed Al Matrud
Poeta, critico e giornalista siriano, nato a Qamishly, nel nord della Siria, nel 1970. Ha pubblicato cinque libri di poesia e uno di critica. Tra i suoi libri di poesia ricordiamo: "La biografia del pozzo", "Mi disse la beduina", "Io non mento", il suo ultimo libro è "Il suo nome è Ahmed, e la sua ombra è fuoco". La crisi in Siria lo costringe all’esilio, attualmente vive in Germania con la sua famiglia.
Il matto che vide
(1)
Io
sono il matto che ad ogni nuvola parlava come se fosse la sua, e per la sua
impossibile passione soffiava in palloni colorati, li mandava col vento che gli
credette e nella sua passione ebbe fede, non vi è nulla da obiettare dunque a
un matto/ se si appende al vento e vola, poiché è sua ogni nuvola, e ogni
nuvola dalla sua terra proviene. Beati i
matti che sono (io), con un pallone leggero volarono, divennero parte del
cielo, e finalmente i saggi gli credettero!
(2)
Sono
il numero (5) nella serie dei fratelli
prima
che finissero o si disperdessero da tutte le parti
come
piume di un cuscino (sventrato)
sono
il numero (1) a ingoiare le afflizioni dei fratelli
a
far sgorgare la tristezza [?] lontano da loro e dalla patria
sono
la patria quando divenne canzone e valigia
sono
la alif [1]
docile che si piega come balsamo sulle loro ferite
e
sono il matto che smentì se stesso e gli credettero i saggi e non morirono!
(3)
Sono
colui che morì una volta
e
ritornò in una barca di carta
tutti
coloro che ti videro mare – o amore mio
– e ci credettero
dissero:
è perso quel ragazzo!
Da
quando in te mi annegai
e
provai il sapore dell’annegamento
e
dei tuoi inganni mi travestii
e
io nuoto in alto/ in alto verso la vita.
(4)
Per
te il sabato/ la domenica per gli amici/ il lunedì per passeggiare vicino al
fiume/ il resto della settimana per visitare il cimitero
tanti
divennero i morti e il giovedì non bastava più
e
i matti che sono (io)
devono
fidarsi: che i morti vedono i vivi
più
di quanto i vivi vedano i morti!
(5)
Da
quando mi travestii della gazzella dell’ombra e io rincorrevo uno specchio
liscio
volevo attraversare la
trasparenza e divenire un essere visibile, perché mi toccasse la mia amata.
Sono
un uccello (Simurg) siriano
ho
un corpo umano e una terra ombreggiata da una sola nuvola
e
ho un lungo corridoio di densi neon
in
cui passeggiano antichi angeli e uccelli nobili
un
matto che abita in me deve credere: bella è la vita e la guerra finirà.
(6)
Era
una patria/ forse era chiamata: patria
vi
erano fiumi secchi, sette laghi e montagne come le mammelle
e
avevamo un fiume fluente che chiamammo racconti
ci
sedemmo sulle sue rive e ci scambiammo i baci e le lacrime
e
quando si seccò gli sparammo, e svelti lo salutammo
la
patria, quella immensa, coi suoi fiumi secchi, i laghi e le montagne
più
piccola era della scarpa del bambino di guerra
un
corpo compatto era nella lezione marginale del disegno
ma
da quando crescemmo come piccoli mostri
diventammo
leoni affamati/ e ci dividemmo i suoi brandelli:
capo
al capo/ petto al petto/ estremità alle estremità
posteriori
ai posteriori/ e gli avanzi per il popolo
era
una patria/ divenne una canzone nella lezione di musica!
(7)
Domani
al notiziario delle otto di sera, appenderò l’immagine della mia tenda e le
scarpe dei miei figli sullo schermo, così la scena sarà completa, non
dimenticate il notiziario delle otto, la mia tenda e le scarpe dei miei figli,
e nemmeno il serpente che pende come la lingua del presentatore. E non
dimenticatevi del matto che è diventato saggio, ha pietà dei suoi figli, si
frustra se spariscono nel mare, e si salva tante volte dai proiettili, mentre
lo uccidono le onde della nostalgia.
Traduzione di Gassid Mohammed
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Grazie mille